«Io sono io: sono anche Stryxia. Faccio il DJ in una discoteca tra le più famose di Milano, un'istituzione della musica e della nightlife, e sono la Stryxia perché “la” è milanese. Appena un paio di giorni dopo che sei qualcuno, diventi “la” o “il”. Gli articoli possono essere peggiorativi o farti stare meglio, anche se sono diventati un problema di discriminazione, com’è ovvio. La Stryxia suona femminile, quindi l'articolo e il pronome relativo sono femminili. Però io non ho pronomi, non ho una definizione di genere, mi ci si può rivolgere al maschile o al femminile, è irrilevante. Ed eccoci qua, in genere indeterminativo.
Milano è diventata una città più libera? Abbastanza. La libertà di oggi si esprime anche per strada, più di un tempo. Allora dovevamo stare nei locali per essere noi stessi. Diciamo che oggi, in taxi, mi sentivo meno in imbarazzo di come mi sarei sentito dieci anni fa, così bardato e truccato per il pomeriggio. Alla fin fine, la vita notturna e i locali in generale danno la possibilità alle persone di esprimersi molto più liberamente che nella vita quotidiana. Uno dei pregi della nightlife è una libertà che viene sia dalla protezione della notte sia dal fatto di essere in un’area d'intrattenimento. E lì avviene la trasformazione, il cambiamento: la vita notturna va verso l'espressione libera di ciascuno di noi.
Anche le definizioni assolute cominciano a vacillare: le serate a tema, diciamo, gay, etero, friendly, vengono superate rispetto al fatto che tutti si sentono liberi di frequentare qualsiasi posto in ogni maniera. Un progresso positivo.
Come Milano, io cambio e mi cambio. Sono arrivato in città per studiare architettura. Ho preso la laurea, ma l'hobby è diventato lavoro, il lavoro è divenuto hobby. Oggi il mio hobby è fare l'architetto, una volta ogni tanto e solo per gli amici. Se volete le pareti bianche non chiamatemi: mi piacciono i colori sgargianti e detesto il bianco. Se vuoi il bianco vai da qualcun altro. A me piacciono le cose piene, variopinte, sia sulla persona che sui muri.»
Taccuino antropologico di Alberto Salza
Nell’universo parallelo delle persone affette da autismo diciamo: «I neurotipici ci prendono in giro perché siamo diversi, ma noi ridiamo di loro perché son tutti uguali». L’identità di genere è culturale, e quindi inevitabilmente soggetta a trasformazioni nel tempo. La parola “identità” deriva da idem (sempre lo stesso), ma “individuo” ha la radice in “indivisibile”. La comunità queer di Milano potrà elaborare una figura innovativa: il “dividuo”, colui che si divide con e per gli altri. Articoli e pronomi verranno di default: E poi lalala è musica, lololo cacofonia. Secondo Simone de Beauvoir, «Essere donna vuol dire essere un uomo come un altro».