Io parlo come Tommaso Pozza, Marco De Crescenzio, Federico Marisio, la triade dietro e davanti a uno dei progetti social più longevi d'Italia:’’ Il Milanese Imbruttito”, un simpaticissimo progetto che nasce ben 11 anni fa nella Chinatown di Milano. Arriviamo dal mondo della comunicazione: siamo partiti osservando quel che ci circondava all'interno del mondo dell'ufficio per poi fare un piccolo studio para-antropologico su vizi e virtù del nostro personaggio imbruttito. Risultato: uno stereotipo comico.
Abbiamo messo in vista i passaggi essenziali di un decennio: le figure che hanno popolato Milano, i momenti importanti, gli expo, fino a quello che ci aspetterà. Il progetto si è modificato ed evoluto in tantissime forme. Oggi è una redazione creativa di contenuti, principalmente per i social, ma anche per il digital, la TV, il cinema, i prodotti. Facciamo ridere, ci divertiamo.
Il guaio è che abbiamo dato il la a un'immedesimazione collettiva: tante persone diverse si riconoscevano in questo milanese imbruttito. Per noi era una figura unica, volutamente senza volto: all’epoca non era necessario avere un'identità visiva, i contenuti valevano più delle immagini. Dopo qualche tempo, però, venne a includere più persone, tutte diverse: ognuno rivedeva l’imbruttito all'interno del suo immaginario.
“Milanese imbruttito” è un essere fantomatico, prodotto di shakeraggio sociale, un po’ di Milano e un po’ no, stressato, sempre sul pezzo, che conosce tutti, ma che in realtà non conosce nessuno. Sempre in movimento, alla fine vuole ritornare a Milano. Praticamente abbiamo creato un mostro.
E poi si sono evolute le dinamiche sociali, i social network, il mercato, il business. Sono apparse alcune figure che undici anni fa non esistevano, tipo gli influencer, Instagram, le stories, TikTok. A quel punto abbiamo visualizzato delle maschere. Il progetto è un gioco di maschere, come la commedia dell’arte: la vena è semiseria/tragicomica, in un continuo rimando dalla community al reale e viceversa.
In tal modo, la nostra comicità non è ripetitiva. In modalità cazzoni, mutiamo insieme alla città, che ha nel cambiamento il suo vero panorama. Noi non seguiamo le nostre tracce: siamo stati freestyle e moriremo freestyle.»
Taccuino antropologico di Alberto Salza
Diceva Woody Allen: «Il vantaggio di essere intelligente è che si può sempre fare l’imbecille, mentre il contrario è del tutto impossibile». Nelle pantomime dei cosiddetti “selvaggi”, l’ordine sociale viene sconvolto dal Briccone, un eroe culturale che si muove tra inversioni di senso e furti agli dèi (vedi Prometeo).
A Milano il Briccone è invece un personaggio a più voci (almeno tre), composito, multigenico, plurirazziale, fluido, imbruttito perché rappezzato come Arlecchino. Lo spettatore subisce così l’effetto “Frankenstein”, dimenticando che Mary Shelley non ha chiamato l’opera del dottore “mostro”, ma Creatura, un essere sensibile e tristissimo.